Tre cose da imparare dai bambini sul comunicare nella sofferenza
Un bambino a scuola dell’infanzia si avvicina disperato alla maestra piangendo a dirotto: si era staccato una pellicina da un unghia, le lacrime gli scendono inconsolabili. Ne parla con la maestra, lei le dice qualcosa, lo tranquilizza, lo prende un attimo in braccio… d’un tratto il bambino riparte e va a giocare con gli altri.
Medicina? Effetto placebo? Persuasione? O il bambino stava forse esagerando?
Forse qualcosa di molto più semplice: la connessione umana ha la straordinaria capacità di calmare il dolore.
Come mai comunicare il dolore può avere questo effetto così benefico? Ho pensato ad almeno tre motivi per cui questo è vero, e per cui dovremmo imparare qualcosa da come i bambini vivono il dolore.
1 – Il bambino è inerme di fronte al dolore, non ha strumenti e difese per affrontarlo, per questo lo vive con grande angoscia. Parlare del dolore diminuisce l’angoscia, perché rompe la solitudine ad esso associata. Tutti abbiamo fatto questa esperienza, da bambini come da adulti. Quando abbiamo paura, parlare, aprirci ad amico o ad una persona che ci vuole profondamente bene, diminuisce l’angoscia legata alla solitudine. Sentire la vicinanza di qualcuno che ci comprende e ci sostiene, oltre a darci un grande beneficio emotivo, può produrre anche benefici fisici scientificamente provati: è dimostrato ad esempio che un abbraccio libera endorfina, un potente antidolorifico, e serotonina e dopamina, ormoni che hanno un effetto sedativo, che producono una sensazione di benessere e tranquillità.
2 – Parlando, il bambino si distrae dal suo dolore. Sì, perché il dolore di per sé si impone al nostro cervello in modo esclusivo, e parlarne ne diminuisce la presa. Il dolore è molto geloso della nostra attenzione, ne vuole essere l’unico protagonista. Del resto è proprio quello il suo scopo: far capire che il corpo ha un problema che deve essere risolto. Spesso il bambino non ha l’esperienza per discernere se un dolore è così importante e gli va veramente data tutta l’attenzione che reclama. In quel caso, se il dolore non è eccessivo o non manifesta qualcosa di veramente pericoloso, già il fatto di parlarne rompe la sua forza e l’adulto può aiutare il bambino a relativizzarlo. Anche noi a volte diamo a qualche nostro dolore più importanza di quella che magari in realtà ha, a volte a livello fisico, molto più frequentemente a livello psicologico: per questo parlare spesso è già un grande sollievo.
3 – Quando soffre, il bambino non sa cosa fare, e ha fiducia che l’adulto potrà trovare una soluzione. Ma questo può accadere anche ad un adulto. – Hai male a quel ginocchio da due anni: perché non ne hai mai parlato con nessuno? – Hai quel forte dolore: non sarà che qualcuno ha vissuto qualcosa di simile e sa darti una dritta? O magari il dottore saprà consigliarti. – Hai quel peso sul cuore da così tanto tempo? Perché te lo tieni dentro a tutti i costi? Il bambino non ci pensa due volte a condividere il dolore, non lo tiene per sé, e così l’adulto trova una soluzione per lui. Non sempre noi adulti hanno l’intelligenza e la prontezza di fare lo stesso.
Se da tempo ti tieni dentro quel dolore, fisico o psicologico, o spirituale, che nessuno conosce, e del quale magari a volte anche ti vergogni, fai una cosa: impara dai bambini. Proprio perché sono bambini, sanno insegnarci tante cose che noi da tempo abbiamo dimenticato.
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