5 idee per Vivere Bene con chi è diverso da noi

Può sembrare impossibile che due ragazzi, uno israeliano e uno palestinese, possano condividere la stessa stanza nello stesso appartamento.

Priel Korenfeld ne parla in una bellissima conferenza TED, durante la quale racconta la sua esperienza di convivenza e dialogo: lui proveniente da Israele, si ritrova a Trento a dover condividere la stanza con un palestinese.

La prima cosa che fa il suo compagno di stanza è tirare fuori la sua bandiera palestinese per appenderla, e chiede a lui di fare lo stesso con quella israeliana. Da quel momento nascono diverse considerazioni.

1 – Ognuno di noi ha tante etichette-identità

Priel fa un ragionamento molto semplice, ma illuminante: ognuno di noi è una persona complessa, e ognuno di noi ha tante idee e convizioni: io ho le mie, e tu hai le tue.

Ognuno di noi può avere 1.000 etichette appiccicate addosso: possiamo essere uomini, donne, italiani, europei, africani, americani; cattolici, buddisti, credenti, non credenti, omosessuali, eterosessuali, interisti, juventini, vegani, carnivori, vecchi, giovani, amanti di musica classica, rock, rap o trap.

2 – Con quale etichetta-identità mi identifico di più?

A questo punto Priel dice una cosa molto acuta: mi ritengo più uomo o più italiano? più credente o più vegetariano? più prete o più genoano?

3 – Le difficoltà di convivenza nascono quando mi identifico troppo in un’etichetta

Se l’etichetta dell’altro è diversa od opposta alla mia etichetta analoga a cui do molta importanza, è ovvio che sarà difficilissimo andare d’accordo: se è vero che ognuno di noi ha un’identità costituita da moltissimi fattori – alcuni li riteniamo più importanti, altri meno – il problema di convivenza non nasce solo nel momento in cui io vedo nell’altro soltanto un’etichetta, ma quando anch’io vedo in me soltanto un’etichetta.

4 – Più cose sapremo degli altri, più sarà facile la convivenza

Più conosciamo gli altri, e più ne scopriremo le idee, le convinzioni. Più cose sapremo, e più potremo trovarci uniti su certe cose anche se siamo diversi in altre cose: conoscere gli altri in più aspetti possibili delle loro idee e della loro personalità, diventa una specie di rete di sicurezza: anche se un filo si spezza, la rete non si spezzerà del tutto.

5 – Non ascoltare è il primo atto di violenza

Infine, Priel dice che le parole violenza e muto, in ebraico hanno una radice comune. Se noi rendiamo muta una persona, ovvero se non l’ascoltiamo, compiamo un atto di violenza verso di lei. Per essere violenti non è necessario dare un pugno od offendere con le parole: basta ignorare, basta non ascoltare, basta rendere muta una persona: non ascoltare è una forma di violenza molto grande che forse abbiamo qualche volta sperimentato, a volte da vittime, a volte da carnefici.

Usare il cellulare mentre l’altro parla può essere un atto di violenza, perché è negazione della sua persona; interromperlo è violenza, perché è negazione della sua opinione.

L’ascolto è un grande atto di amore, perché quando ascoltiamo, specialmente se ascoltiamo una persona molto diversa da noi, è come se gli dessimo il permesso di esistere e di abitare nel nostro mondo interiore. Dedicare tempo all’altro è sempre un atto di amore, è sempre negazione della violenza.

Priel, israeliano, si è ritrovato ad abitare nella stessa stanza con un palestinese, e ce l’hanno fatta, dialogando, ascoltandosi e conoscendo tanti aspetti della loro vita e della loro personalità.

Come si dice di solito: Sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono.

Noi ogni giorno abbiamo a che fare con persone diverse da noi. Conoscenza ed ascolto reciproci sono un buon antidoto per non cadere nella trappola delle difficoltà che possono nascere dalle differenze. E credo che sia vero sia a livello personale, sia a livello sociale, culturale e religioso.

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